La regina è morta e nemmeno noi stiamo troppo bene

Ieri nel tardo pomeriggio si è spenta a Balmoral, in Scozia, la regina Elisabetta II del Regno Unito, 96 anni di cui 70 passati sul trono. Inevitabilmente la scomparsa di questa figura si è accompagnata ad una serie interminabile di salamelecchi e incensi gettati in lungo e in largo sulla sua figura, sulla sua persona e, nemmeno troppo indirettamente, sull’istituto stesso della monarchia. Passi la commozione e lo stracciarsi le vesti nelle isole britanniche – anche se dovremmo andare a vedere come questa notizia è stata accolta in alcuni Pub di Edimburgo, Aberdeen, Derry e di altri luoghi in Irlanda, Scozia e Galles – ma quello che non può passare è che i Tg nazionali siano piantati da più di 12 ore, in piena campagna elettorale, sul seguire in modo morboso e pedissequo quella sequela di avvenimenti che appartengono solo alla monarchia britannica e che in fondo non sono altro che beghe familiari di vecchi ottuagenari pagati con soldi pubblici per il solo fatto di rimanere in vita.

nn

Davvero, non è questa la sede in cui si punterà il dito contro tutti i crimini della monarchia inglese, non intendo parlare di Elisabetta in quanto regnante ma dello strano fenomeno che ha portato il mondo intero, e compresi gli italiani ad affezionarsi ad una tizia il cui lavoro è bere il tè una volta a settimana col Primo Ministro e leggere discorsi davanti ad un parlamento che non è il nostro. Del resto questo articolo non vuole nemmeno entrare troppo in profondità sul tema dell’assurdità della permanenza di un sistema di governo anacronistico basato sulla scelta divina del capo dello stato. No no, ste cose le lasciamo ad un altro momento, oggi parliamo dello scorreggiamento cerebrale che di questi tempi porta e incensare sempre i morti, anche quando non sono i nostri, perché sono stati dei grandi, cosa poi.. non si sa.

nn

Facendosi un giro sulla Rai, Skytg e La7 si noterà che dalle 19:30 circa di ieri i servizi parlano solo di una anziana morta nel suo castello di campagna (pagato coi soldi dei contribuenti) e del suo vecchio figlio che torna a Londra, anzi posticipa, anzi anticipa, parla, beve una coca-cola, saluta, fa cose. Ora, al di là del morboso interesse che è una componente fondamentale del fenomeno di marketing che è la monarchia, la cosa più sconcertante è il messaggio di fondo che viene rilanciato nel più italiano dei “volemose bene”: era la regina di tutti. La regina di tutti? Mhmm… forse qui serve un attimo di analisi e se sbaglio, per citare un altro incensato e anacronistico, mi “corrigerete”.

nn

L’Italia ha abolito la propria ridicola monarchia in quel del 1946, l’anno del referendum etc.. In quell’occasione siamo passati dall’essere sudditi all’essere cittadini. La differenza, dal 1789, è abbastanza grande e dovrebbe starci a cuore e forse dovrebbe farci storcere il naso davanti a certe caciarate giornalistiche. Ogni qual volta al Tg sento dire che “i sudditi si riversano davanti a Buckingham Palace” una fitta attraversa il mio corpo e arriva dritta al cervello. Nel 2022, i sudditi. Perché la Monarchia è così: io scelto da Dio, tu suddito; esattamente il contrario antitetico della democrazia rappresentativa. Esattamente il contrario di tutto ciò in cui credo.

nn

Perché questo feticcio? Perché la regina di tutti? Non è che in fondo, sotto sotto, a noi italiani piace sentirci un po’ sudditi?

n

Forse, e dico forse, questo amore per la regina corrisponde ad una tendenza italiana alla subalternità nei confronti del potere? In Italia abbiamo cacciato i Savoia ma in fondo abbiamo delegato tutto e troppo ad una classe politica via via sempre più distante ed incompetente, una monarchia dell’apparato politico all’interno di una Repubblica blindata e inaccessibile. Si pensi a Sua Maestà Mario Draghi il Benedetto, l’uomo il cui tocco di mano può dare la vista ai ciechi e la parola ai muti.

nn

Proprio come una monarchia la politica nazionale si basa oramai da troppo tempo sul privilegio, sulla disparità sociale e su sempre più grande divario tra le esternazioni pubbliche e la realtà sociale del Paese. I governi si succedono vorticosamente con maggioranze deboli e fragili, la costituzione viene piegata, modificata e indirizzata ogni volta verso l’interesse di questa o quella parte politica, con buona pace della difesa del vero senso delle istituzioni: servire il cittadino. E forse sta proprio qua il problema: cosa differenzia un suddito da un cittadino? La partecipazione alla vita politica e sociale. In un paese con un astensionismo che a queste elezioni potrebbe toccare il 41% come si può parlare di cittadini? Come si può interrompere quel continuo rapporto con la politica basata sullo scambio? Io ti voto e tu fai. Speriamo che Carlo III sia un bravo re, speriamo che il nuovo governo sia capace. Queste sono le due frasi che si inseguono tra una crisi energetica ed economica senza precedenti, una guerra accanto a noi, una condizione sociale caratterizzata da povertà e disperazione.

nn

Abbiamo mandato via un Re “per grazia di Dio”, ma siamo sicuri di aver abolito una mentalità che in fondo è equiparabile a quella dei sudditi nella monarchia? Abbiamo fallito nel riempire le istituzioni coi cittadini e le abbiamo solo innalzate ad una dimensione quasi mistica, a sé stante, farcita di una vuota retorica: “il senso dello Stato”, “il senso delle istituzioni”. Intanto, la nostra classe politica non si scompone di fronte ad infiltrazioni mafiose, scandali, corruzione. E noi lasciamo permettere tutto questo, sperando che il prossimo sia meglio di quello prima, che in qualche modo un intervento divino ci allontani dal baratro. Da comunisti, spesso, ci siamo lasciati abbindolare da questa dinamica, ne siamo stati anche promotori, ogni qualvolta abbiamo barattato l’azione diretta con il trincerarsi dietro la vuota difesa dei “valori”. Abbiamo smesso di lavorare nella società perché in fondo abbiamo smesso di crederci, abbiamo smesso di dare valore all’azione che può plasmare il mondo, rintanandoci nella difesa di questo o quel interesse particolare e facendo di una sedicente “superiorità morale” la giustificazione per schifare coloro con cui invece dovremmo parlare, coloro a cui dovremmo rivolgerci. Una sorta di nobiltà nella monarchia dell’immobilismo.

nn

Non sono solito demandare a Dio la risoluzione delle cose, quindi mi sembrerebbe assurdo farlo con altri esseri umani stanno li a scavare un fossato pieno di privilegio e potere economico che li separa da me, che scommettono sulla mia ignoranza e sul mio “meglio del peggio c’è il meno peggio”.

nn

La regina sarà stata la regina di tutti, la mia no. All’immobilismo delle tradizioni secolari preferisco l’ottimismo del fare, del proporre, dell’ideare.

n

Tiocfaidh ár lá!

n

Il nostro giorno verrà